Di Rocco Panetta
Regolare o non regolare, questo è il dilemma, avrebbe detto Shakespeare, oggi, ai tempi dell’intelligenza artificiale.
Dilemma ampiamente discusso e dibattuto da Stefano Rodotà, prima e Giovanni Buttarelli, poi, nei loro scritti e testimoniato – con evidente favore verso la necessità di regolare – con la loro azione e militanza istituzionale.
L’Europa è stata criticata molto in questi anni per aver scelto di regolare qualcosa ancora in divenire. Soprattutto gli Stati Uniti, ma anche molti commentatori nostrani, di matrice più liberale, hanno aspramente criticato questa scelta paventando ora il rischio di fermare ciò che non si può fermare, l’innovazione, ora quello di desertificare i mercati finanziari del continente, a vantaggio di quelli d’oltremanica o d’oltreoceano.
Fomentare la paura verso le nuove norme: la storia si ripete
Con il GDPR, sei anni fa, avvenne più o meno la stessa cosa, e l’economia non solo non è crollata e le Big Tech sono ancora tutte qui e l’unico “inconveniente” che abbiamo finora riscontrato è che qualche servizio è arrivato un mese dopo in Europa rispetto al lancio negli Stati Uniti, ma ne è uscito ampiamente trasformato e migliorato – si veda il caso delle app Chat GPT di Open AI e Replika uscite molto migliorate dopo il blocco e le prescrizioni imposte dal Garante per la protezione dei dati italiano nel 2023 per non compliance con il GDPR.
Ma anche all’interno dell’UE, in particolare, Francia e Germania, si sono mostrate reticenti fino a qualche mese fa, tanto da rischiare di far saltare il tavolo delle negoziazioni sull’AI Act, dopo due anni di lavoro, per proteggere i propri interessi nazionali e le proprie aziende.
A queste misure protezionistiche si aggiunge il rumore di tanti commentatori che, per ignoranza o per mala fede, vogliono intorbidire le acque sfruttando la propria notorietà e autorevolezza. L’altro giorno, ad esempio, sentivo un illustre economista dire che l’AI Act complicherà la vita alle aziende che vogliono usare l’AI per aumentare la produttività interna, con conseguenti danni per il PIL. Mi ricordo che nei primi anni 2000, un analoga narrazione attribuiva al famigerato DPS, legato alla legge sulla privacy, prima e al Codice Privacy, poi, una simile responsabilità nella stagnazione del PIL italiano e addirittura veniva additata a una delle cause dell’aumento costante del debito pubblico nostrano. Con questo tipo di uscite si crea solamente paura tra le migliaia di PMI e Startup che, non avendo le risorse per seguire da vicino quanto avviene a Bruxelles, si limitano a leggere e ascoltare media e influencer di turno.
Sia chiaro, l’AI act non è perfetto, come non lo è il GDPR e come non lo è nessuna legge, perché ogni norma è sempre il frutto di un compromesso politico e, quando si tratta di Europa, il confronto coinvolge tantissimi attori.
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