Written by 21:07 Media, Wired Italia

Smettiamola di dire che la privacy è un intoppo burocratico

Si dice che la gestione dei nostri dati sia un sacrificio necessario alla ripresa economica post-Covid. Ecco perché non è così.

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di Vincenzo Tiani

È sotto gli occhi di tutti che da qualche settimana sia l’Autorità Garante per la Protezione dei Dati che il diritto stesso che l’Autorità è chiamata a tutelare siano sotto attacco. Si sperava che questo impeto si fosse esaurito l’anno scorso con i pretestuosi attacchi all’app Immuni quando buona parte dei commentatori politici si era trasformata in esperti di privacy ma di recente la litania che la privacy sarebbe un ostacolo alla salute degli italiani e addirittura all’innovazione è tornata di moda.

Su Twitter di recente diversi illustri personaggi pubblici hanno twittato nell’ordine che la privacy “è un altro assurdo intoppo burocratico”, che “la legge sulla privacy va cambiata e subito”, perché il Garante aveva bloccato in un primo momento l’uso dell’app Io per il Green Pass, e che non si capisce come da un lato gli italiani siano tutti su Facebook e dall’altro “si mette in campo la privacy quando è lo Stato a chiederci molto meno per motivi sanitari”. 

Non essendo stati sufficienti i numerosi commenti di esperti a quei tweet per sedare ogni dubbio sul perché quei messaggi fossero sbagliati da diversi punti di vista, lunedì sono usciti tre articoli sull’inserto economico del Corriere della Sera che mettevano in dubbio la necessità di avere una normativa della privacy così stringente che avrebbe il solo effetto di darci meno armi contro il virus e di bloccare l’innovazione e la ripresa economica in Italia.

Riassumo dunque le principali accuse riportate in modo da fornire un prontuario di risposte da usare alle cene in cui qualcuno volesse riproporre quegli argomenti.

Accusa: Certo la privacy è importante ma non dovrebbe cedere il passo davanti alla tutela della salute?
Risposta: Il GDPR, il regolamento europeo per la protezione dei dati, già prevede che in casi di pandemia, e in generale dove ci sia la salute a rischio, ci siano delle eccezioni. La scelta tra privacy e salute è una falsa scelta perché, studiando una soluzione ad hoc, si possono avere entrambe. Se c’è una cosa che la storia ci ha insegnato è che una volta che si abbassa l’asticella della tutela dei diritti fondamentali, anche se per motivi contingenti, poi è molto difficile tornare indietro. Si pensi alle norme sulla sorveglianza di massa approvate negli Stati Uniti dopo l’11 settembre poi svelate da Snowden nel 2013. Quelle norme sono ancora lì 20 anni dopo, pur avendo avuto otto anni di amministrazione Obama nel mezzo. 

Accusa: Perché ci preoccupiamo tanto della privacy quando diamo i nostri dati ai social network che ci profilano?
Risposta: Iscriversi ad un social network è fatto su base volontaria, consegnare i propri dati allo Stato, inclusi dati sugli spostamenti, sui pagamenti, potrebbe diventare obbligatorio, come succede in Cina da anni. Dai social ci si può cancellare in qualsiasi momento, mentre i governi hanno una durata variabile, cambiano, possono essere più o meno attenti ai diritti individuali. Inoltre hanno la possibilità di legiferare (con i decreti legge) mentre le forze dell’ordine possono fare indagini più invasive se i limiti dei diritti fondamentali sono annacquati, come detto sopra. Quindi no, dare i dati ai social e allo Stato non è affatto la stessa cosa.

Accusa: L’intervento del Garante sull’app IO ha messo a rischio la diffusione del Green Pass in Italia, vitale per la ripresa dell’economia.
Risposta: A parte che il Garante è chiamato a sorvegliare sull’applicazione di una normativa che è valida in tutta Europa ed è diventata uno standard quasi mondiale, dopo il primo stop l’app Io ha fatto le modifiche richieste ricevendo l’ok del Garante. Ma se anche non fosse stato possibile per motivi tecnici non superabili in pochi giorni, il Green Pass si può usare con l’app Immuni, che non necessita, a differenza di Io, di alcun login o SPID, quindi è a ragione uno strumento migliore se solo la politica si ricordasse di averlo e avesse l’intenzione di promuoverlo*. Senza dimenticare che il Green Pass si può ottenere anche in formato cartaceo. Aggiungo che uno Stato che metta al centro il benessere economico a scapito dei diritti fondamentali non sarebbe una buona notizia.

A ciò si aggiunga che è davvero un peccato dover leggere errori grossolani sulla storia della privacy, le cui Autorità erano presenti già da molto tempo prima del GDPR, soprattutto tenendo conto che sono stati due italiani, Stefano Rodotà e Giovanni Buttarelli, i protagonisti di quel rafforzamento della tutela dei dati personali in Italia, in Europa e nel mondo cui oggi sia gli Stati Uniti che la Cina guardano per scrivere le proprie leggi. Mentre noi cerchiamo di demolirle facendole passare come intoppi burocratici. 

*Chi scrive ha fatto parte del Gruppo di Lavoro Privacy della Task Force del Ministero dell’Innovazione che ha poi portato alla selezione dell’App Immuni per il tracciamento dei casi di Covid19.

Originariamente pubblicato su Wired Italia
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