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Trasferimenti dati UE-USA: cosa possono fare le aziende, nel pieno rispetto dei principi generali

I trasferimenti di dati UE-USA trovano nella decisione di adeguatezza del Data Privacy Framework il proprio fondamento. Non mancano le voci critiche, ma il mare in tempesta che si scorge all’orizzonte non deve creare allarmismi ingiustificati: anzi, può essere l’occasione per impostare alcune mirate azioni programmatiche

Di Rocco Panetta

Credevamo di non doverci più occupare di un tema così stucchevole e poco ragionevole, in tempi di reti ultraveloci, computer quantistici e intelligenza artificiale; invece, continuiamo a occuparci dell’annoso problema dei trasferimenti di dati tra Unione europea e Stati Uniti.

Dopo che, lo scorso 10 luglio, la Commissione europea ha adottato la tanto attesa decisione di adeguatezza del Data Privacy Framework per i trasferimenti di dati personali UE-USA, non sono tardate a emergere le prime voci di possibili azioni volte a chiederne l’annullamento.

Per chi conosce le dinamiche politiche e giuridiche che sempre più interessano il sistema della data economy, questa non è di certo una sorpresa. Al tempo stesso, si tratta di una notizia da non prendere sottogamba: ecco perché.

La “vexata quaestio” dei trasferimenti UE-USA

La regolamentazione dei flussi di dati personali tra Unione europea e Stati Uniti è da sempre una questione complessa e dibattuta nel mondo della protezione e circolazione dei dati personali. Un mondo composto di istituzioni e autorità – chiamate a definire e far applicare regole e istituti –, aziende ed enti pubblici – tenuti a rispettare le norme sui trattamenti transfrontalieri –, professionisti e studiosi – il cui compito è quello di trovare soluzioni e proporre nuove interpretazioni.


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